We can’t breathe (ma è lo smog)
“Air pollution is cutting short the lives of billions of people by up to six years,
according to a new report, making it a far greater killer
than smoking, car crashes or HIV/Aids.”
— The Guardian
Quando inizi a fumare, continui a ripeterti: “Il giorno che mi accorgerò di non godermi più una sigaretta sarà il giorno che smetterò”. Il fatto è che quando finalmente arriva il giorno in cui la sigaretta che hai in bocca non te la godi (forse neanche sai di averla accesa) è già un pezzo che hai sviluppato una dipendenza. E quindi non c’è nulla di cui accorgersi.
Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, la pesantezza del fumo, quella leggera sensazione di gravità che deglutisci come faresti con un buon sorso di vino, scompare. Una boccata di fumo smette di distinguersi da uno qualsiasi degli altri migliaia di respiri che naturalmente compi durante l’arco della giornata. Si può dire allora che fumare faccia parte della tua giornata quanto respirare.
Quando ero bimbo – ben prima che cominciassi a fumare – i miei avevano una casa sù in Val Sesia. Non passava venerdì dove, manco il tempo di sciogliersi il nodo della cravatta o di sbottonarsi il tailleur, i miei non mi caricassero in automobile per andare a trascorrere il fine settimana in montagna. Neanche quarantotto ore più tardi, sazi di sciate, passeggiate e pranzi al sacco, eravamo di ritorno a Milano. Ricordo bene ancora oggi il primo momento in cui abbassavo il finestrino, in prossimità di Piazza Wagner, e riconoscevo al primo respiro l’aria di città, “l’aria di Milano,” come di rito annunciavamo all’unisono, con tono sconfortato. Era, al tempo, la stessa aria che imbrattava la nostra facciata di nero e che costringeva il condominio a ridipingere portone e balconi almeno una volta l’anno.
Oggi, quando rientro a Milano da una trasferta o dalle vacanze, quell’odore non lo riconosco più. E non perché sia svanito o mutato (certo, dagli anni ’90 ad oggi di passi avanti ne sono stati fatti), ma per il semplice fatto – temo – di averci fatto l’abitudine. Come con le sigarette.
Sì, riconosco l’aria pulita della montagna o la brezza salata del mare, ma quando poi torno in città il mio naso non è più in grado di distinguere con chiarezza l’odore dell’aria inquinata e di classificarlo come, appunto, un “odore” distinto. C’è. Fa parte del paesaggio. Come pure scrivendo queste righe (in montagna, peraltro) sto fumando la mia bella sigaretta senza essermi consultato in alcun modo con la mia volontà. Lo faccio perché è normale che io lo faccia: il mio corpo lo sa, la mia mente no.
È trasferendomi a Torino da Roma, sei anni fa oramai, che ho avuto di nuovo l’opportunità di misurare il mio olfatto con l’inquinamento atmosferico. E non solo l’olfatto: gli occhi faticano a distinguere la basilica di Superga perfino da Piazza Vittorio, la gola all’ora di pranzo è già irritata e i colpi di tosse in ufficio sono un continuo intercalare delle riunioni, le mani stesse quando vengono lavate risultano spesso come imbevute di una leggera polvere sozza.
Una città sviluppata per sessant’anni ad esclusivo interesse dell’industria automobilistica, che avrà sì dato da mangiare a generazioni di italiani, ma contribuendo anche indiscriminatamente a condannarne la salute. E siccome a Torino il trasporto pubblico è inaffidabile e le piste ciclabili o non esistono o sono un attentato all’incolumità, la gente continua a muoversi anche per le più brevi tratte in automobile, crescendo i propri figli e nipoti nel mito dell’automobile, accumulando tre o quattro vetture per nucleo familiare. Provate a parcheggiare a Torino!
Insomma, per quanto i miei anni torinesi siano stati tutto sommato felici e per molto tempo avessi anche pensato che si trattasse della città in cui avrei trascorso la mia vita, l’amore per il capoluogo torinese si è infranto – come sento accadere a tanti altri – contro un muro di particolato fine che l’European Environment Agency (EEA) ha rilevato in densità superiore ai 50 microgrammi al metro cubo (quelli ammessi per legge sono 35) per oltre quaranta giorni l’anno, in media.
E mentre il progresso ci ha spinti nei decenni a riconoscere il fumo di sigaretta come un agente malsano per la nostra salute e di chi ci circonda – chi oggi, vedendo una donna incinta non rabbrividirebbe vedendola fumare? – e ad agire di conseguenza (etichette raccapriccianti sui pacchetti, divieto di fumo nei luoghi pubblici), l’inquinamento da smog ancora rimane inspiegabilmente percepito come un male necessario e dagli effetti poco chiari – nessuno si scandalizzerebbe per la stessa donna incinta alla rotonda tra via Fossata e Corso Venezia (considerata una delle zone più inquinate), giusto? Eppure i numeri non sono così distanti l’uno dall’altro: mentre in Italia si stimano tra i 70 e gli 80.000 morti da tabagismo all’anno, l’OMS calcola i decessi legati all’inquinamento atmosferico intorno ai 60.000, sempre nella penisola. Ma è il The Guardian a dipingere il quadro più grottesco: lo smog accorcerebbe le nostre vite di oltre sei anni (!), rappresentando una minaccia di gran lunga più grande di quanto lo possano essere le sigarette, gli incidenti automobilistici o l’HIV.
I torinesi dotati di buona memoria ricorderanno che avevamo perfino vissuto qualcosa di simile a un lockdown ben prima del 2020, quando la sindaca Appendino aveva lanciato l’allarme rosso e suggerito caldamente ai cittadini di rinchiudersi in casa alla luce dell’ennesimo superamento della concentrazione di PM10. Era il 2017.
Eppure, nonostante i numeri da capogiro, nonostante le evidenze scientifiche, 1 spot su 3 in televisione è dedicato alle automobili e l’industria dell’automotive emerge sostanzialmente indenne nella percezione che pubblico generalista ha rispetto agli effetti che le vetture a combustione fossile hanno sul nostro organismo.
Motivo per il quale, tre anni or sono, decisi di confrontarmi sul tema con esperti dagli atenei torinesi (la cui lista di referenze è disponibile ed a supporto di chi ne faccia richiesta, come ulteriori references ed elementi bibliografici saranno forniti su domanda) e di interrogarli nel merito dei confusi risultati della mia ricerca. L’esito è stato a dir poco agghiacciante, quanto superiore alle mie aspettative in termini di rilevanza scientifica. Gli effetti causati dallo smog sul nostro organismo, appresi infatti, vanno ben oltre l’immaginabile tumore ai polmoni.
Eccone alcuni (la cui bibliografia medica è riportata su sighoutloud.com):
– lo smog accresce e accelera l’avanzare della demenza senile;
– lo smog causa l’alterazione dello sviluppo dei polmoni nel feto;
– lo smog influenza il comportamento degli adolescenti;
– lo smog deposita piombo nelle ossa;
– lo smog causa il diabete.
Ci è dunque apparso doveroso (a me e ai miei colleghi) escogitare un progetto attraverso il quale potessimo dare il nostro contributo di comunicatori e di cittadini, affinché questa grave lacuna di informazione potesse diventare accessibile e intellegibile all’opinione pubblica.
L’escamotage creativo che abbiamo individuato nella palese ipocrisia nel trattare distintamente il fumo di sigaretta e lo smog (l’uno volge alla colpevolizzazione del cittadino consumatore – un vecchio trucco che mi è capitato di affrontare tempo fa in questo articolo – l’altro trova nell’industria il principale colpevole) è diventato il leitmotif della campagna, proponendo sul sito del progetto una raccolta firme affinché le automobili a combustione fossile vengano etichettate come è avvenuto e avviene per i pacchetti di sigarette. Una provocazione, può darsi, ma che serve a mettere in luce la verità scientifica adombrata dai continui spot che promuovono la commercializzazione di un prodotto altamente nocivo per la salute umana e per il pianeta.
Al tempo stesso, abbiamo chiesto ai nostri fenomenali partner di New Tab Studio di creare un sito e delle animazioni altamente responsive per costruire un’esperienza di navigazione agevole e coinvolgente che metta nelle condizioni l’utente di accedere ad una vasta bibliografia scientifica sul tema.
Il profilo Instagram, infine, avrà lo scopo di aggiornare il pubblico sulle notizie a livello internazionale riguardanti l’inquinamento atmosferico: una specie di rassegna stampa social sugli ultimi ritrovati in materia di qualità dell’aria.
Abbiamo voluto chiamare il progetto “Sigh Out Loud”: sigh come la fumettistica forma che tutti conosciamo per il sospiro affannoso 😮💨 e al contempo ammiccando al say out loud per far sentire la nostra voce di cittadini.
Insomma, dopo anni di lavoro, di ricerca e di attese (come sappiamo nell’ultimo anno e mezzo la qualità dell’aria non è stata, per così dire, top-of-mind) lanciamo oggi questo progetto nel quale crediamo moltissimo.
Perché ci sia giustizia e verità circa l’elemento più importante (seppure invisibile) che ci contraddistingue come esseri umani: l’aria che respiriamo.
Perché nessun bimbo debba in futuro riconoscere la propria casa dal puzzo che emana o dal colore nerastro che ne imbratta la facciata.
Sì, perché è tempo. E perché, come si suol dire, è il progresso, bellezza!
Ed è inarrestabile.
Scopri Sigh Out Loud su www.sighoutloud.com
e firma la petizione > www.change.org/label-polluting-cars
Sigh Out Loud è un progetto di no panic & act, realizzato insieme a NewTab Studio.
Scrivi a info@nopanic-agency.com per aiutarci ad ampliare o a sponsorizzare il progetto.
Giulio Rubinelli
Creative Director di no panic agency
Creative Strategist di no panic & act