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Russofobia

Nella vita e nella storia vi sono casi in cui non è lecito aver paura.”

— Oriana Fallaci

 

Non si tratta di una notizia che ha particolarmente bucato la bolla negli ultimi giorni, ma ha dell’incredibile: Chanel da ieri ha limitato le vendite dei propri prodotti ai russi all’estero. Ovvero, dopo la sospensione delle proprie attività sul territorio russo – una posizione più che ragionevole e in linea con molte delle iniziative intraprese da altri brand del lusso nelle ultime settimane – da oggi, nei negozi della maison francese, verrà richiesto un documento per verificare che l’acquirente non sia di nazionalità russa e, nel caso lo fosse, che sia residente in pianta stabile all’estero e che non abbia dunque intenzione di indossare il capo in patria.

La spiegazione del gesto da parte di Chanel è emblematica, sostenendo di limitarsi ad applicare la sanzione prevista dall’Unione Europea, che vieta la vendita di beni di lusso superiori ai 300€ di valore a individui che fisicamente si trovino in Russia; e aggiunge: “accogliere tutti i nostri clienti, indipendentemente dalla loro provenienza, è una priorità per Chanel” – ci manca, verrebbe da dire. Ma chiedere carta d’identità o passaporto per valutare la vendita di un prodotto in base al proprio paese di residenza non si può certo definire un gesto civile, anzi.

 

Ancora una volta, come abbiamo fatto già durante le ultime settimane, ci troviamo a mettere in guardia il nostro lettore dalla facile presa di posizione rispetto a questo conflitto, complici senz’altro l’oltraggiosa superficialità dei media mainstream di questo paese; la semplificazione non è una buona dieta da seguire per quanto riguarda la guerra in Ucraina: il rimescolamento delle carte ideologiche che porta tutti ad accusare gli altri di essere nazisti, fascisti, veterocomunisti, stalinisti, chi più ne ha più ne metta. Pure l’ANPI son riusciti a confondere, di fronte all’evidente massacro di Bucha, che porta l’innegabile impronta dell’esercito russo. Insomma, attenzione alle trappole. Perché se dovessimo fidarci del pensiero binario, potremmo ipotizzare che la maggior parte dei russi sostengano Putin nella sua aggressione ad uno stato sovrano: lo dicono i numeri, l’83% della popolazione approverebbe l’operato del presidente, secondo il Levada Center (l’ultimo istituto demoscopico indipendente in Russia). Ma di nuovo, non è così semplice: i russi sono vittime di una propaganda ferrea adottata dal Cremlino, a tal punto che faticano a credere perfino che sia in atto una vera e propria guerra (il termine stesso è stato vietato un mese fa per legge, prevedendo fino a 15 anni di carcere per giornalisti e blogger che scrivano le parole “guerra”e “invasione”). Le immagini dunque che vediamo sui nostri schermi non sono le stesse che compaiono sugli schermi russi, tanto per cominciare perché gli schermi in Russia erano già pochi prima della guerra e da marzo scorso, chi li possiede, non ha più accesso a una porzione del world wide web, social media inclusi. Piccola parentesi: 35 milioni di russi non hanno servizi igienici privati, 47 milioni non hanno accesso ad acqua calda, 29 milioni non hanno acqua corrente nelle loro abitazioni, 22 milioni non hanno riscaldamento. Così, giusto per ricontestualizzare anche l’immagine che troppo spesso abbiamo dei russi, che li vorrebbe tutti pasciuti, volgari e maleducati mentre si spalmano di crema in Versilia. Una delle ragioni principali delle razzie compiute nei territori occupati, è proprio quella che i soldati russi si aspettavano di andare a liberare una nazione estremamente più povera di loro e che li avrebbe accolti come eroi; superato il confine, tuttavia, si sono resi conto di quanto la realtà non corrispondesse all’immagine che aveva dato loro il governo dell’economia ucraina.

 

 

Insomma, al netto del fatto che la Russia – guidata da un despota – abbia invaso una nazione sovrana, abbia perpetrato durante la propria occupazione un numero sconcertante (e ancora embrionale) di crimini contro l’umanità, al netto che le sanzioni verso la Russia rimangano ad oggi ancora la più valida opzione (insieme all’invio di armi destinate all’esercito ucraino) per opporsi alla prepotenza del tiranno e assassino Putin, questo non potrà e non dovrà mai trasformarsi in una qualsiasi forma di razzismo verso il popolo russo. Lo stesso sentimento che – lo avevamo raccontato – aveva spinto l’ATP a eliminare le bandiere russe dalle classifiche dei tornei di tennis, ma anche e soprattutto – episodio ben più grave – aveva portato la Bicocca a cancellare il corso di Paolo Nori su Dostoevskij.

 

 

Quando vinse le elezioni americane Donald Trump, nel 2016, mi rimase impressa un’iniziativa dell’attore hollywoodiano Shia LaBeouf che, in collaborazione con il Queens’ Museum of the Moving Image di New York City lanciò una performance politica intitolata “HE WILL NOT DIVIDE US”.  Una piccola videocamera fissata al muro del museo, iniziò a riprendere senza sosta in livestream con un’unica richiesta: “Il pubblico è invitato a recitare alla videocamera le parole HE WILL NOT DIVIDE US, ripetendo la formula per quante volte desidera e per quanto tempo voglia.” Primo fra tutti, Shia LaBeouf, che presidiò l’installazione per svariati giorni. L’opera sarebbe dovuta durare per ben quattro anni, ossia fino al giorno in cui il mandato presidenziale di Trump avrebbe incontrato la sua fine (ma la performance venne interrotta molto prima, il 10 febbraio 2017, a fronte dei ripetuti attacchi da parte dei supporter del neo-eletto presidente).

Mi ritornano ancora in mente quelle parole e quel messaggio, per la loro forza e genuinità: “non ci dividerà” – qualsiasi cosa accada, restiamo uniti, come si dice in casi di grave pericolo. La risposta di Chanel è, a mio avviso, estremamente pericolosa e conduce su strade oscure: quelle in cui i russi si sentono odiati e noi odiamo i russi. Se un russo vive in Occidente, mi domando, una ragione ci sarà? E se vive in Occidente, perché mai dovremmo farlo sentire indesiderato? Non è forse proprio sui principi di accoglienza e di fratellanza che regge il concetto stesso di Europa? Se a meno di un mese e mezzo dall’inizio della guerra già chiediamo i documenti ai russi nei negozi e cancelliamo i corsi di letteratura russa dalle università, tra un anno bruceremo Tolstoj in Piazza del Duomo? Così, giusto per capire. Ah, sia chiaro: l’alternativa non è difendere Putin su La7 e no, un bambino non è felice se vive in una dittatura come suggerisce il Professor Orsini.

È ora invece di gridarlo più forte che possiamo: HE WILL NOT DIVIDE US. Restiamo uniti, qualsiasi cosa accada. Putin non ci dividerà.

 

Giulio Rubinelli

Creative Director no panic agency

Brand Language Director no panic & act

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