Non comprare niente (parte prima)
“When you learn, teach.
When you get, give.”
— Maya Angelou
È uno di quei progetti dal capitale narrativo pressoché infinito; motivo per il quale il lancio della app avviene pedissequamente a quello di un podcast. Il giorno del Black Friday, ovviamente.
Si chiama Buy Nothing e nel 2021 è diventata una app, ma il Buy Nothing Project risale al 2013, quando Rebecca e Liesl decidono di creare una piattaforma per limitare la dispersione di materiale plastico nell’ambiente. Oggi conta oltre cinque milioni di membri ed è diffuso su quarantaquattro paesi.
In media, oggi, in una casa europea si trovano diecimila oggetti. Provate un attimo a fare mente locale su questo numero. Oggetti sono tutto, dai vestiti ai libri, dai soprammobili ai mobili stessi, dalle posate alle lampadine. Siamo letteralmente sommersi dalle cose e le cose fanno così parte di noi stessi da non permetterci neanche più di farci caso; sono diventate – grazie al marketing come ottava arte – elementi di definizione della nostra identità: siamo ciò che possediamo. Una battaglia che abbiamo apparentemente smesso di combattere molto tempo fa, se consideriamo che il miliare “Le Cose” di George Perec risale al 1965, anticipando perfino i moti studenteschi, e in cui l’autore descrive degli oggetti “la forza emozionale, estetica, perfino erotica”:
“Il nemico era invisibile. O piuttosto era in loro, li aveva corrotti, infettati, devastati.
Erano le vittime della farsa: esserini docili, fedeli riflessi di un mondo che li disprezzava.
Erano sprofondati sino al collo in una torta della quale non avrebbero mai avuto che le briciole.”
E ora che abbiamo accumulato e accumulato e le nostre case, le nostre vite, straboccano di oggetti e le nostre identità individuali straripano di omologazione, ora che di tempo in queste case ne abbiamo a iosa da trascorrere, ma pochissime sono le persone che ci vengono a fare visita e che di queste ricchissime identità possono fruire, di tutto questo superfluo che ne facciamo?
Buttare è un concetto ormai da superare: ciò che è in esubero per noi può rappresentare una ricchezza per qualcun altro, come raccontano in un episodio del podcast i donatori seriali di Buy Nothing:
“Lindsey Spoon, una giovane donna che vive fuori Tulsa, Oklahoma, aveva sempre sognato di possedere un anello di diamanti, un regalo che sua madre mai si sarebbe potuta permettere.
Destino volle che, a poche miglia dall’altra parte della città, Molly Barten avesse appena deciso che fosse ormai tempo di superare il fallimento del suo fidanzamento. Così, quel pomeriggio, Molly mese in offerta il proprio anello di fidanzamento di diamanti su Buy Nothing e la madre di Lindsey rispose all’annuncio. Lasciando finalmente andare il proprio passato,
la generosa offerta di una donna ha realizzato il sogno di una vita di un’altra donna.”
Insomma, Marie Kondō scansati: niente da riordinare, tutto da dare.
Abbiamo scaricato la app e chiaramente allo stato attuale il tasto dolente è la localizzazione, che su Milano ancora non offre che più di un paio di interazioni. Eppure se per curiosità impostiamo New York come destinazione d’uso, sono effettivamente incredibili gli annunci che si possono trovare e che ti proiettano in una dinamica quasi intima dei singoli utenti.
Tutto il funzionamento della app si riduce a quattro azioni:
- Gifts (regalo qualcosa);
- Asks (chiedo se qualcuno ha qualcosa che cerco);
- Gratitudes (messaggi di disinteressata gratitudine, ad es. per la vita);
- Connections (il numero di conversazioni private che hanno avuto luogo nella comunità di riferimento nell’arco degli ultimi sette giorni).
Altro non serve né è richiesto per essere un donatore, un buynothinger: generosità e spirito solidale, la capacità di lasciare andare, di separarsi dal superfluo, sapendo che qualcun altro, invece, potrà farne migliore uso e donare all’oggetto una seconda vita. È questa una delle massime rappresentazioni di una circular economy peer-to-peer, che addirittura riesce a superare non solo lo scoglio del second hand (che comunque richiede spesso un compenso), ma anche dell’ancestrale baratto.
Giving is the new having, a quanto pare. E non suona niente male.
P.S. A qualcuno può servire una lampada da tavolo Årstid? La regalo.
Giulio Rubinelli
Creative Director no panic agency
Brand Language Director no panic & act