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In the Mood for Mubi

“It is a restless moment. 

She has kept her head lowered 

to give him a chance to come closer. 

But he could not, for lack of courage. 

She turns and walks away.”

 

— invertitolo di In the Mood for Love (2000)

 

 

Spesso ai registi è piaciuto giocare con l’effetto zootropio, rivolgendo la cinepresa verso la banchina al passaggio di un treno. L’effetto ottico che si ottiene – e che oggi paragoneremmo a un jump-cut – è infatti quello dei ventiquattro fotogrammi standard che hanno dato i natali al moderno concetto di cinema. Quel giochino del treno in corsa altro non è che uno zootropio naturale, un insieme di immagini messe in sequenza che il nostro occhio riconosce come artificialmente in movimento. L’abuso di inquadrature come queste ci ha abituati a intuire che, passato l’ultimo vagone, la protagonista sarà scomparsa dalla banchina. 

 


Mentre le letture più freudiane puntano quindi a paragonare l’esperienza cinematografica allo sguardo di un bimbo attraverso il buco della serratura, l’ zootropio è forse fedele all’interpretazione tecnica del funzionamento più della pellicola di poliestere. Chi almeno una volta, in attesa di treno o metrò, non ha fantasticoto su una sconosciuta o uno sconosciuto seduto sulla banchina opposti. Chi non conserva il ricordo di un saluto trascinato via dentro a un tunnel, mentre l’immagine intermittente veniva sbiadita dalla calce e dalle luci al neon.

È stato quindi uno stupore per me, ieri, trovare proprio in metropolitana una pubblicità che riprendesse questo scopo allo scopo di promuovere il cinema d’autore. Un’intuizione felice e quasi anacronistica per uno spazio come quello sotterraneo, generalmente dedicato al marketing più schietto e immediato, a volte custode di un genere di réclame naïve e retrò. L’autore di questa trovata è infatti la pecora nera dello streaming, vale a dire MUBI, la piattaforma di video on demand fondata nel 2007 dal turco Efe Çakarel. 

 

 

Nello specifico, le immagini imprestate a questa pubblicità appartengono a In the Mood for Love, capolavoro indiscusso di Wong Kar-wai: una scelta ancora più rivelatrice conoscendo il retroscena che vuole la nascita di MUBI legata proprio a questo film. Era proprio questo titolo infatti che, durante una permanenza a Tokyo, il giovane Çakarel non riusciva a reperire online, inducendolo a trasformare la propria frustrazione in impresa. 

“Guarda. Grande. Cinema.” recita il più essenziale dei copy. E se di pannelli a disposizione ne avessero avuti 24, ne siamo certi, li avrebbero utilizzati tutti e 24. Ma non serve, l’effetto funziona ed è felice.

Soltanto lo scorso febbraio, in collaborazione con CHEAP – il meraviglioso festival di postergrafica che ogni anno trasforma Bologna in una galleria d’arte a cielo aperto – MUBI aveva realizzato una serie di installazioni in cartellonistica sullo stesso filone visivo, giocando sui formati dei quadri propri del fumetto. Lo scopo era la promozione del lavoro di Céline Sciamma, regista e sceneggiatrice francese (-issima!) autrice, tra gli altri, di Tomboy (2011).

 

La stessa grazia e garbo sono facilmente riconducibili alla medesima matrice, sofisticata quanto basta e desiderosa di posizionarsi come alternativa ribelle allo strapotere dell’estetica piatta e conforme dei Netflix e dei Prime. 

Questa OOH ci insegna quanto fare gentili campagne sia possibile, senza la necessità di false provocazioni o grida per distinguersi: è il prodotto che distingue un marchio, la comunicazione non può che sorreggere la sua eccezionalità con messaggi concordi al posizionamento. E il prodotto, nel caso di MUBI, è d’autore. Come la sua comunicazione. Ad averne.

 

 

 

Giulio Rubinelli

Direttore Creativo no panic agency

Brand Language Director no panic & act

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