Nolhtaced
“La regola aurea del marketing:
proponetevi ai vostri clienti così come
vorreste che si proponessero a voi.”
— Philip Kotler
Se nessuno ci ha ancora scritto un libro, allora ve la servo su un piatto d’argento: “antologia dei marketer su linkedin”. Che poi magari è una cosa di ogni categoria professionale, ma ecco, azzardo immaginare che la pletora di sedicenti esperti di comunicazione superi nettamente quella dei sedicenti dentisti, ad esempio. Perché sì, diciamocelo, siamo tutti un po’ i marketer di noi stessi, no? È dunque un continuo sbrodolìo sui social rispetto ad ogni campagna, anche la più piccola, anche la più remota, che viene con perizia passata al setaccio di chiunque abbia letto un libro di Kotler – o anche solamente comprato un libro di Kotler – con grande entusiasmo in particolare da parte degli indiani (chissà poi perché). Contenuti che possono anche scivolare via nel conato sfuocata di uno scroll frettoloso, ma che possono altresì accidentalmente saltare all’occhio di tanto in tanto per la loro insulsaggine.
Ad esempio è ormai tre giorni consecutivi che nel mio feed continuano ad apparire post che celebrano la recente campagna di Decathlon in Belgio. Il colosso francese infatti, per annunciare il proprio impegno nel cosiddetto “reverse shopping”, ha cambiato l’insegna principale fuori da tre dei propri punti vendita, presentando il logo al contrario: “nolhtaced”.
Il reverse shopping altro non è che la possibilità da parte del cliente di rivendere al negozio il proprio prodotto (a marchio) usato. Si tratta di una logica interessantissima e cruciale per dar vita a un mercato circolare che metta inoltre nelle condizioni acquirenti meno fortunati di permettersi prodotti a un prezzo ridotto (oltre ai chiari vantaggi di natura ambientale, ça va sans dire). E bene, brava Decathlon.
Dunque l’iniziativa, accattivante di per sé e indubbiamente eye-catching, viene ripresa dai social-marketer di mezzo mondo e applaudita con la consueta pacatezza, gridando alla trovata ge-nia-le #genius 💡🧞♂️ eccetera.
Ora, dico io, ma è come se questa mattina io mi fossi ritrovato a fare la spesa alla “agnulesse”, giusto? Vi sembra ancora ge-nia-le?
Andiamo per punti, sorvolando sulla bontà dell’iniziativa sostenibile in sé (sulla quale non piove).
Primo: il servizio di reverse shopping rimarrà pure, ma l’insegna è legittimo pensare che tornerà in tempi brevi quella di sempre, col potenziale pericolo di dare la sensazione al consumatore della trovata pubblicitaria, piuttosto che dell’impegno concreto. Secondo: mettere mano al logo di un brand è già di per sé rischioso, ma prenderlo paro paro e invertirne le lettere è un arrischio che rasenta il suicidio; sempre tornando all’esempio dell’Esselunga, giocare con un eventuale prolungamento ricurvo dell’iconico monogramma (faccio per dire) potrebbe lanciare un messaggio, invertire il lettering non può che confondere il consumatore. Terzo (ed è poi il punto di tutta questa mia umile disamina): segnalo che queste pippe mentali funzionano soltanto e unicamente tra noi addetti ai lavori; gridarci reciprocamente al genio non fa che alimentare una creatività banale e che parli soltanto ad un pubblico professionale, perdendoci per strada i reali destinatari delle campagne, che queste iniziative – molto semplicemente – non le capiscono.
La morale, in buona sintesi, è sempre la stessa: a furia di professarsi tutti esperti di comunicazione, alla fine si fatica a tenere il punto strategico di una campagna; bella la creatività, ma in un mondo ideale qualcuno avrebbe dovuto obiettare che manca di consistenza e di chiarezza verso il pubblico di riferimento. Invece poi sui social finisce tutto in pippe e autocelebrazione. Con la differenza che a scrivere i post son tutti impiegati (o “inpiegati”, come il presidente della camera) presso sé stessi e laureati presso l’università della vita. Good luck with that!
Giulio Rubinelli
Creative Director no panic agency
Brand Language Director no panic & act