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When the world agrees

La standardizzazione ha favorito un processo empatico
per il quale non ci sentissimo a casa esclusivamente nei nostri appartamenti,
ma ritrovando tracce di casa in tutto il mondo.

 

 

 

Oggi attendevo il mio turno in clinica per una lastra. Rigirandomi tra le mani la cartelletta nella quale raccolgo tutti i miei referti medici, mi rendo conto per la prima volta di quanto sia assurdo che siamo riusciti a standardizzare i formati della carta in tutto il mondo. Stampa in a4 il suo documento il dentista, la clinica privata come anche quella pubblica, stampa in a4 il medico di famiglia e l’oculista. Ed è davvero un peccato dare questa omologazione per scontata, perché non lo è. Sicuramente c’è tutta una letteratura di settore, specialmente in ambito grafico, che affronta questa rivoluzione copernicana e cellulosica, ma mi sia consentito l’apprezzamento dello sforzo su un piano puramente amatoriale.

 

Sono andato quindi a ricercare qualche informazione supplementare sull’internet. Perché certo la carta, prima di una sua regolamentazione, doveva venire in formati del tutto spontanei e irregolari, e soltanto più tardi è nato il concetto che ha permesso all’Ikea di pensare un Billy che fosse in grado di raccogliere la maggior parte dei formati stampati, giusto?

 

 

L’acronimo da cui tutto nasce non dovrebbe suonare nuovo a nessuno ed è ISO, che sta per International Organisation for Standardisation e trattasi di un’organizzazione (la più importante al mondo) per la definizione di norme tecniche, con sede a Ginevra. Bellissimo è il motto della ISO, che racchiude un messaggio di pace universale unico nel suo genere: when the world agrees e questo ci riconduce allo spirito nel quale organizzazioni come ISO sono nate, vale a dire quello dell’immediato dopoguerra, quando il mondo raccoglieva i cocci di società ridotte in brandelli e intendeva collaborare per la costituzione di un linguaggio comune e universale per evitare conflitti futuri. Lo spartito musicale è, credo (non me ne vogliano linguisti e musicisti), il più antico linguaggio veramente universale sul quale il mondo si sia accordato per comunicare secondo le stesse norme, da Tokyo a Lisbona. Ma è la lingua inglese forse l’esempio più lampante e contemporaneo, trattandosi di un idioma vero e proprio, che ha unito l’occidente – e non solo – sotto un medesimo lessico. Non è poi da meno la scrittura in codice per internet, una lingua che parlano sì principalmente i programmatori, ma che ha gettato le basi per un dialogo globale in ambito tecnologico. E pensare che, sempre rimanendo sul tema della programmazione, i tecnici del web abbiano scelto l’esperanto (una lingua artificiale inventata sul calare del XIX secolo) per comunicare tra loro e accordarsi sull’impiego dei codici, laddove i codici da soli non bastassero.

 

E poi, seconde a tutte queste ben più evidenti standardizzazioni, un’infinita serie di piccole e meno piccole normazioni come quelle che hanno coinvolto, tra gli altri, la carta: l’ISO 216. Ora, senza volermi lanciare in tecnicismi che non mi competono, basti sapere che due sono i momenti nella storia in cui si era tentato già di standardizzare i formati cartacei, il primo dei quali risale alla rivoluzione francese (tentativo poi svanito nel tempo) e in Germania nel 1922, questa volta gettando le basi per il processo che verrà poi riavviato in seguito al conflitto mondiale.

 

Insomma, questa storia dell’A4 mi ha particolarmente colpito perché di fatto concerne un termine che generalmente è percepito con accezione negativa e cioè “conformismo”; o anche “omologazione”. Non avevo tuttavia mai riflettuto che conformismo e omologazione potessero anche avere una lettura positiva, rappresentando uno spunto financo per la pace e la comprensione universale. Senza sopprimere la specificità locale, la silenziosa standardizzazione ha permesso ai popoli di tutto il mondo di favorire un profondo processo empatico, per il quale non ci sentissimo a casa esclusivamente tra le quattro pareti dei nostri appartamenti, ma ritrovando tracce di casa in tutto il mondo.

 

Questo dovrebbe ricordarci quanto i nazionalismi celebrino aspetti marginali di una cultura, elevando presunte superiorità che tuttavia, all’atto pratico, si sgretolano pateticamente difronte alla necessità che nutriamo per natura di comprenderci l’un l’altro, di trovare terreno comune per la risoluzione di un conflitto, di collaborare per il miglioramento del lavoro individuale e collettivo. E questo progresso passa, sì, anche dal formato della carta che usiamo ogni giorno. E scusate se è poco.

 

 

 

Giulio Rubinelli
Creative Director no panic agency
Brand Language Director no panic & act

 

 

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